E’ sotto gli occhi di tutti la crisi dell’associazionismo imprenditoriale, notoriamente a legame debole, così come quello delle organizzazioni sindacali. E forse non sarebbe potuto accadere nulla di differente considerando le mutazioni profonde in atto nel mondo del lavoro, la crisi dei contratti nazionali ma anche e specialmente la recessione che si è abbattuta sulle imprese italiane con conseguenze devastanti sui livelli di fatturato e di occupazione.

Da questa spirale negativa l’autotrasporto non è certo esente: associazioni sulla carta che sono accreditate al Ministero (per una serie di requisiti tanto squisitamente burocratici, quanto ridicoli nella loro espressione reale); associazioni nuove che fioriscono più a colpi di interessi piuttosto che su piattaforme di tutele e programmi sindacali.

In questo quadro di riferimento il caso della neo associazione Alis, tutto business e niente assistenza, proiettata all’insegna di prospettive privatistiche che poggiano su imperi armatoriali per i quali si consentono probabilmente agevolazioni agli associati in cambio di una adesione sindacale, rappresenta il nuovo modello di rappresentanza? No; è vero il contrario, si tratta di un nuovo che arretra, lontano dalle elementari logiche associazionistiche ma, soprattutto, insignificante sul versante delle proposte sindacali, o, quantomeno, senza alcuna differenziazione di rilievo su temi come lo sviluppo sostenibile, l’intermodalità e i trasferimenti economici incentivanti, dallo Stato alle imprese; in particolare su questo ultimo aspetto Trasportounito sostiene da tempo che tali trasferimenti non possono e non devono essere oggetto di intermediazione delle associazioni di categoria; e proprio per questa sua posizione ha preferito pagare il prezzo di essere fuori dalle istituzioni, senza accettare snaturanti compromessi. Al contrario invece, le nuove associazioni, come molte delle vecchie, scambiano clienti per associati e istituzioni per segreterie.

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