Non sono solo le consegne di una quota consistente dell’e-commerce in Italia, ma anche le migliaia di imprese che lavorano come indotto e, di conseguenza, il posto di lavoro di oltre 9.000 addetti, a essere messi in discussione dalla vertenza sindacale che paralizza ormai da quasi venti giorni le linee distributive di Sda, ovvero la rete dell’azienda di Poste italiane leader nella distribuzione e consegna B2C.

Il problema di fondo della vertenza Sda è figlia di un sistema distorto all’origine, nel senso che una società di derivazione pubblica, o para-pubblica, nell’aggiudicare gli appalti, pur incassando le garanzie minime (Durc), individua le offerte di maggior ribasso. Di conseguenza, coloro che si aggiudicano gli appalti, generalmente consorzi di imprese, affidano a loro volta l’esecuzione del lavoro a società e cooperative il cui ciclo di vita sembra essere di due anni con evidenti strascichi debitori nei confronti dell’erario.

In sostanza, con quanto percepito da Sda, direttamente o indirettamente, le imprese dell’indotto non tengono i costi di gestione e quindi, in molti casi, si innesca il cambio del sub-appalto con operatori che, a loro volta, sono costretti a operare in dumping.

Da qui la necessità di aprire un tavolo di confronto politico sull’azienda di Poste italiane, con l’obiettivo non solo di sbloccare le vertenze in atto, ma anche di aprire una discussione a 360 gradi su prospettive di crescita e modalità degli appalti.

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